Sogno di tornare a vivere nella magia di Roma, come ho scritto nel mio precedente articolo. Nella capitale ci ho vissuto già per anni e ci torno spesso, quando riesco. Ma voglio anche continuare a immergermi nel fascino del Salento, dove pure ho dei progetti da coltivare. Come è possibile tutto ciò? Devo diventare forse bilocale come certi santi? Questo non so ancora farlo, il paranormale è fuori dalle mie possibilità. Invece potrei diventare un nomade urbano, una sorta di pendolare.
Chi volge lo sguardo ad Oria da sud o da nord, ne nota il profilo che si distende su diversi monti, da Sant’Anna, o ancor prima, fino alla torre dell’acquedotto. Oggi quella linea che disegna le torri del castello, il vescovado, la cattedrale e altri edifici la chiamiamo skyline ed è il panorama urbano al confine con il cielo, una linea appunto, che con i suoi ghirigori si fa racconto, si fa poesia per la sua essenzialità. E quest’ultima richiede un aedo.
Cominciava così un articolo del Gennaio del 2020 nel mio vecchio blog, oggi non più visibile, che avevo dedicato ad un caro amico che è ora scomparso, il 3 Gennaio scorso. Sto parlando di Raffaele Trinchera che una voce più autorevole della mia come Annamaria Andriani ha definito “cantastorie sognatore, divulgatore di allegria e bellezza in questo mondo angosciato e triste”. In quel post ho avuto modo di approfondire un po’ le sue scelte artistiche. Infatti proseguivo dicendo:
Un momento della simulazione della chiamata al 118 in seguito ad un attacco ischemico, a cura della Croce Rossa.
Come prevenire un ictus? Che cosa fare quando si verifica? E come convivere con le sue conseguenze? Se n’è parlato durante un evento che l’associazione Aura aps ha tenuto ieri, Domenica 30 Ottobre 2022, ad Oria (Br). Per me è stata un’utile occasione, da una parte, per riflettere sull’afasia degli artisti e, dall’altra, per approfondire un po’ quella che potremmo chiamare la super-coscienza della vita. Ora vorrei qui fissare cinque punti essenziali emersi durante la serata e che possono servire a prevenire le ischemie, ad essere tempestivi e ad approcciarne le ripercussioni, ad ogni livello.
Sto parlando della cittadina in cui vivo, in provincia di Brindisi, che con i suoi colli derivati da dune preistoriche si erge sulla piana del Salento. Ma parlo anche dei suoi abitanti, gli oritani, che qualche volta si accorgono del loro immenso patrimonio e danno vita a rievocazioni storiche, fondano gruppi di sbandieratori, mettono in piedi associazioni che coniugano turismo, gastronomia, storia, archeologia e altro ancora. Le possibilità con il passare del tempo aumentano.
Una di queste alla quale sono interessato riguarda il racconto della città e del suo patrimonio attraverso il teatro. In parte ho già affrontato un po’ in generale l’argomento in due articoli. Nel primo ho posto la questione di come possiamo narrare il medioevo oggi. Nel secondo ho elencato luoghi, emozioni ed opportunità a cavallo fra teatro e turismo. Ho anche dedicato un articolo a come rappresentare pezzi di teatro in un paese come questo. Ora voglio indicare dieci possibilità per spettacoli teatrali, incursioni, animazioni specifiche in e per Oria e i suoi visitatori.
Quanti giorni ti restano da vivere? Chi ti assicura che non muori fra qualche anno o mese o giorno o fra cinque minuti? Scongiuri a parte, questo mi chiese una volta il coach americano di recitazione Bernard Hiller in un suo workshop. E ieri, primo Aprile 2022, mi è capitata una esperienza analoga. Al Wake Up Call di Alfio Bardolla, Giacomo Bruno, che lo ha aperto, ci ha fatto strappare da un metro gli anni vissuti finora. Poi ci ha fatto togliere gli anni fra gli 82 (età media ottimistica) e i 100 (ai quali pochi arrivano). Poi ci ha fatto togliere un certo numero di anni che passiamo dormendo. Risultato: a 48 anni non è che mi rimanga molto tempo…
L’esercizio del metro non h alcun valore di previsione, non è detto che morirò a 67 anni, può darsi che io lasci il mondo prima o dopo ma serve a far capire quanti anni effettivi di lucidità e di energia restano per far davvero quel che conta.
Mi sono detto, cazzo, questo è il momento di vivere. O ora o mai più! E questo lo so bene dal momento che ho visto morire i miei genitori prima che diventassero anziani e mio fratello Mimmo nel 1997 quando aveva ancora venti anni! Poi più tardi ci è stato chiesto di scrivere la nostra bucket list, cioè la lista delle 101 cose da fare prima di morire. Del resto c’è proprio una specifica tecnica dei 101 desideri che Igor Sibaldi spiega bene. Allora ecco ciò che voglio realizzare io. Da questo momento in poi vivo solo per realizzare queste cose. Non ho più tempo per le stronzate! Spero di spuntare ad una ad una tutte le voci. Ci lavoro su ognuna ma senza assilli. Come insegna il mio mentore spirituale Deepak Chopra, ai dettagli ci pensa l’universo. Le intenzioni sono come i semi che si affidano alla buona terra.
Man mano che realizzerò questi desideri tornerò qui per aggiornarli barrandoli.
Ogni età ha le sue insegne, i suoi loghi, i suoi simboli. Uno dei più diffusi di sempre è, per esempio, la croce cristiana. Oppure pensiamo alla mela di Apple. Oppure ancora all’ebraica stella a sei punte. Nel post del 14 agosto mi sono soffermato un po’ su alcuni stemmi cavallereschi del XIV secolo. Oggi voglio andare ancora più indietro nel tempo, fino all’era messapica, dal VI al III secolo a. C.
Qui si boccheggia nell’umidità. Sembra di essere in un paese tropicale. Il sudore è perenne, sulla pelle, e non va via nemmeno dopo venti docce. La ventola del pc sta per fondersi pure lei. Il paese è una giungla di cemento a cui aggiungono, ogni giorno, altro cemento. C’è sempre qualche camion betoniera pronto a gettarlo in qualche cantiere. Gli edili con martelli, chiodi, tavole e ferro son sempre pronti a costruire strutture in cui riversarlo. In ragione di un’edilizia pesante, per costruire case pesanti, dove vivere una vita pesante. Nemmeno in questi giorni vacanzieri c’è tregua. Più calcestruzzo per tutti sembra lo slogan di un’unica visione delle costruzioni dentro le quali ogni volta che si immette quella grigia sostanza un architetto da qualche parte nel mondo muore. Come muore il centro storico di Oria, sempre più abbandonato.
Volte a stella? Sì belle, tanta ammirazione ma le coppie giovani, dopo il matrimonio da due milioni di euro in qualche ristorante dove c’è la statua di Padre Pio accanto a quella di Elvis Presley, vogliono vivere nell’appartamento nuovo, dove le porte puzzano ancora di vernice, con il garage, gli infissi con doppi e tripli vetri. Sì belle le volte a stella, ma vuoi mettere lo stucco veneziano e la decorazione finta pietra? E poi con il suv nel centro storico manco ci passi. Vogliono la vita facile, con le case e le macchine pesanti.
Magari in centro ci vanno, in qualche bar in piano però. Niente salite, per carità. Il passeggino lo spingi tu sulle chianche. Quant’è bello sto paese! Da farci selfie e storie. Per carità, belli anche gli angoli che dei volontari hanno tinteggiato e adornato con fiori e oggetti di arredo urbano. Magari ad averci un b&b nel centro o un bar o un ristorante. Però con il parcheggio vicino. Perché senza parcheggio la gente come fa a venire? Ci facciamo venire i turisti. Li ospitiamo. Mettiamo la movida. Ma, per carità, a dormire, a vivere, a crescere i figli andiamo da un’altra parte, con il mutuo della banca, tanto abbiamo due stipendi: quello delle forze armate del marito e quello da maestra di lei. Il cemento diventa solido, armato, indistruttibile, o quasi. Questa è la sicurezza: i pilastri dell’abitazione e il posto fisso. Poi ci si può aggiungere il cane da portare a pisciare la sera, però piccolo, magari piccolissimo, un cane-topo, che mangi poco e che cachi degli stronzettini facili da raccogliere da terra.
Questa è la vita e giù a rigare dritto. Tanto ci sono ferie e malattia, nel caso, pagate. Il pediatra sempre a disposizione per i bambini, la macelleria a pochi isolati, il supermercato dove far bella mostra del suv comprato a rate. Poi magari ogni tanto si va in pizzeria ma bisogna far economia però. O si fa una passeggiata: si gira e si rigira, all’infinito, in macchina, ma piano che la benzina costa tanto. E quando facciamo l’amore, una volta ogni morte di papa per la verità, niente rumori e urli. Ma la villetta non è nuova e costruita con il cemento armato, isolata dalle altre? Sì, ma la cosa strana è che le urla di quando si scopa e si litiga e i bambini strillano, a volte in ordine sparso, si sentono dappertutto. Sono amplificate da questi casermoni nuovi. Non si può avere tutto dalla vita. Qualche sacrificio bisogna farlo. Magari però invece di tenere sempre accese i led della luce in casa si poteva fare qualche finestra più grande. Non lo so, il geometra dice che questo vuole il regolamento.
Ogni città ha il suo doppio. Ciascuna cresce in terra ma anche nel nome. Solo che della prima, mancando le parole, non ne puoi parlare. Ti resta solo la possibilità di raccontare l’altra. Ci riflette su Italo Calvino ne Le città invisibili. E grazie a lui allora diciamo che la città è il suo nome o, meglio, la sua serie di nomi, un po’ come le stratificazioni attraverso le quali un centro urbano cresce. Una volta fissate le mura si crede che una città resterà in eterno quella. Ma con il passare delle generazioni mura e strade, un tempo lontane dalle case, vengono inglobate. E cambia quindi la linea della città, che oggi gli urbanisti chiamano Skyline, il suo volto ma anche il modo in cui il suo nome risuona, la sua pronuncia che segue le evoluzioni linguistiche che i glottologi studiano. E chi viene a Oria, in provincia di Brindisi, si accorge di come questi nomi di continuo siano evocati, ripetuti, scritti e tramandati. Basta, per esempio, arrivarci ad agosto durante la rievocazione storica legata a Federico II per sentir pronunciare il nome della città come Orea. Pensi che sia il femminile di una nota marca di biscotti, salvo l’accento sula prima o, ma scopri che invece ha a che fare con il Medioevo: qui lo respiri, lo tocchi, ne vedi i segni soprattutto nelle stradine del Quartiere Ebraico e nelle torri del Castello Normanno-Svevo che domina la città. Gli Ebrei che intorno all’anno Mille avevano qui uno dei centri più importanti del mondo allora conosciuto chiamarono Or-Jàh la città. I Longobardi ne fecero la roccaforte più avanzata nel Salento, tanto che vicino ad essa sorgeva il Limitone dei Greci, un ipotetico muro di difesa bizantino nel tentativo di arginare la loro espansione.