Il teatro che ci manca e che si può fare soprattutto nei piccoli centri

DALL· E 25-01-2025 08:25 – Creare un’immagine semplice ma evocativa che incarni il senso di comunità in un ambiente teatrale, nello specifico situato nella regione Salento.

Il teatro è prima di tutto comunità e parla alla comunità. Un gruppo è una micro-società. Ciò accade fin dal Cinquecento quando davanti al notaio appaiono i primi membri delle compagnia della Commedia dell’Arte. Finiva il bando medievale della Chiesa contro gli attori e gli spettacoli teatrali. Terminava il teatro giullaresco dei singoli e s’inaugurava una nuova stagione con le compagnie italiane che girarono il mondo allora conosciuto e che vennero apprezzate soprattutto in terra di Francia. Da allora quelle formazioni ricreavano al loro interno dinamiche sociali che di fatto furono un laboratorio del tipo di strutture sociali che poi sarebbero venute. E per questo vennero osteggiate dalle istituzioni rinascimentali ma anche dei seicento. Soprattutto per la loro promiscuità. Non è un mistero se i primi teorici del socialismo si ispirarono ad esse.

Teatro & Comunità

Che si tratti di spettacoli in cui la borghesia per tanto tempo si celebrava e si rispecchiava o che siano critiche feroci all’ipocrisia di certi ambienti, come accadde con la penna di Ibsen, comunque il teatro parla ad una comunità con cui può avere continuità od opposizione. Il Novecento ha ravvivato questi rapporti con diverse avanguardie artistiche e due italiani hanno fatto a pezzi il teatro così come lo conoscevamo e ricomposto.

Due innovatori

Il primo è stato Dario Fo che rompe con le rappresentazioni teatrali di regime e rifonda il suo stesso linguaggio, assieme a Franca Rame, riprendendo la tradizione degli zanni, progenitori della maschere, e dei giullari. Il secondo è Carmelo Bene che atomizza i classici e li reinserisce in una pratica teatrale nuova, sulla base soprattutto di due principi guida che fanno luce sulla sua pratica del palcoscenico: il depensamento e la phoné.

Il teatro popolare

Oggi restiamo orfani della stessa idea di parlare a qualcuno. Guardiamo al passato ma non riusciamo, per ora, a trovare un nuovo senso per il teatro. Sembra però che almeno in qualche caso e ancora una volta in Italia stiamo percorrendo la strada popolare, che però non va confusa con quella popolaresca. Per intenderci è quella che Ascanio Celestini sta percorrendo con i suoi racconti.

I piccoli centri

Se c’è una possibilità di rinnovare le radici profonde del teatro questa è legata ai piccoli centri. Ho già scritto un articolo in questo senso parlando di tre problemi sociali che questa antica arte può aiutare a risolvere, soprattutto al sud. All’epoca di TikTok e delle sua continue scariche di dopamina, delle intelligenze artificiali che stanno sostituendo diverse attività umane, di un’offerta di intrattenimento sugli schermi casalinghi o degli smartphone pensare ad uno spettacolo teatrale è una sfida pazzesca.

Uno sguardo dentro la nostra anima

Eppure è questo guanto che può ridare vita a centri storici spopolati, a cittadine che faticano a trovare una loro dimensione, ai tanti disorientati dalla progressiva riduzione della socialità e della comunicazione, che non sono solo residuati della pandemia. Stringersi attorno ad una rappresentazione teatrale è oggi più che una necessità. Abbiamo bisogno di capire che cosa ci succede dentro la nostra stessa anima, fare i conti con la verità.

Qualcosa di unico

A me questo teatro manca tanto. E a te?

Se ti manca unisciti a me per ridare vita al teatro nei piccoli centri. Sei un appassionato di teatro come me? Attore, sceneggiatore, regista, o semplice amante dell’arte scenica? Bene, c’è posto per te in questo progetto.

Contattami. Insieme possiamo creare qualcosa di unico, che parli al cuore delle persone. Il teatro ci chiama, e noi rispondiamo con passione e azione. È il momento di far sentire la nostra voce.

Ti aspetto. Facciamo la differenza insieme.

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