Il palco a una certa altezza e la platea giù, il teatro come luogo e come struttura che conosciamo oggi in Italia, è il luogo peggiore dove rappresentare uno spettacolo teatrale. Si chiama sala all’italiana e nasce nel seicento per esigenze uditive, legate alla musica, che impediscono, di fatto, la visuale. Come scrive Fabrizio Cruciani in Lo spazio del teatro tale edificio è il risultato della nostra cultura che per tanto tempo ha dato spazio al melodramma che è per lo più uno spettacolo musicale. Altrove, invece, si affermavano nello stesso tempo altri modi di concepire lo spazio del teatro come quello elisabettiano in Inghilterra, o l’impianto vitruviano dello Schouburg di Amsterdam oppure ancora con il sistema dei tre carri spagnoli. Il continuare ad insistere sullo stesso tipo di struttura, soprattutto in Italia, vuol dire compromettere il modo stesso in cui concepiamo la messinscena e l’idea stessa di rappresentazione.
Nella storia precedente ci sono state altre concezioni dello spazio teatrale come ad esempio la pluralità di spazi deputati del teatro itinerante medievale che permetteva maggiore relazione tra spettatori e attori di quanto avviene oggi. C’è troppa separazione, così tanta che Dario Fo, che per molti versi è stato un restauratore di questo teatro, spesso faceva sistemare molti spettatori accanto a sé. Se vuoi che ti seguano non puoi avere le poltrone distanti come è stato fatto, giusto per citare un caso, con il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi. E prima ancora abbiamo avuto il teatro greco-romano il cui elemento generatore è stato l’orchestra: lo spazio circolare in cui avviene l’azione, intorno alla quale si raccolgono gli spettatori in un declivio che permette una buona visuale e una eccellente acustica anche a grande distanza. Ciò che nel teatro all’italiana è garantito dalla cassa armonica (lo spazio vuoto al di sotto del palco e il boccascena stesso) nel teatro antico era costituito da una sorta di grande megafono naturale.
E poi ci sono i teatri d’oriente dove lo spazio o è quello dell’attore oppure è quello sacro, dove teatro e tempio si fondono, senza specifiche architettoniche o quasi. Così come per strada gli attori sono spesso circondati dagli spettatori e questo ha la sua influenza sullo stesso stile di recitazione in cui molto spazio è dato alla codificazione e persino ai cliché come avveniva con la Commedia dell’arte, con la quale, non a caso, gran parte della cultura teatrale orientale ha molto in comune. E il recupero di questa dimensione della festa, del rapporto diretto attore-spettatore è una delle principali linee lungo le quali si è concepito lo spazio scenico nel novecento. Il Teatro stesso è diventato happening, con tanta improvvisazione e partecipazione del pubblico stesso.
La costruzione di scenografie più o meno realistiche oggi è relegata nelle compagnie amatoriali vernacolari di vecchio, anacronistico, stampo. Per lo più esse sono simboliche ed evocative e alcuni teatri vengono per fortuna costruiti recuperando le concezioni classiche greco-romane. Una buona impostazione, per esempio, si è avuta con le due sale del Teatro Kismet di Bari. L’importante è che però il tutto non venga lasciato in mano solo agli architetti.
Un teatro è un punto di vista, un luogo di scambi tra attori e spettatori: i primi prendono forza dagli altri e viceversa. Per cui, personalmente, se oggi dovessi io scegliere uno spazio per una rappresentazione sceglierei i palazzetti dello sport con le loro gradinate, i loro maxi-schermi e potenti e professionali impianti di amplificazione. Farei anche in modo che lo spettacolo torni ad essere l’evento popolare per antonomasia ma per questo avremmo anche bisogno di nuovi drammaturghi che sappiano raccontare il nostro presente, aspetto sul quale magari tornerò in un prossimo post. Intanto su questo tema dello spazio e della sua relazione con spettatori e tipi di spettacolo ho scritto un articolo in cui lancio 10 idee.
E a te dove e come ti piacerebbe assistere ad uno spettacolo teatrale? Hai esperienze particolari da raccontare? Parlane nei commenti. Grazie.