I 3 modi per rappresentare Dario Fo

Dario Fo è uno degli autori più rappresentati al mondo. Basta consultare la mappa delle compagnie autorizzate sul sito della Fondazione Fo Rame per rendersene conto. A parte l’Africa non c’è parte del pianeta dove non ci siano messe in scena di questo premio Nobel.

Ad esempio nel 2021 è stato portato in scena il suo testo Gli imbianchini non hanno ricordi in Russia. Gli Arcangeli non giocano a flipper, poi, è stato rappresentato in Nuova Zelanda, La storia della tigre negli USA e via dicendo.

Per rappresentare gli spettacoli di Dario Fo è necessario avere una grande capacità di improvvisazione e di comicità. Gli attori devono essere in grado di interagire con il pubblico e di creare un clima di partecipazione e condivisione.

1. La conoscenza diretta e la frequentazione

Uno che ha imparato bene a farlo è Mario Pirovano che fu folgorato da Mistero Buffo a Londra e da allora entrò a servizio della celebre coppia teatrale con le più svariate mansioni. Fino a quando assimilò tutto il possibile da Dario Fo e iniziò a portare i suoi spettacoli nel mondo recitandoli in lingua inglese.

Io l’ho visto esibirsi insieme a Dario Fo quando venne a Brindisi. E sono rimasto impressionato da come riesce ad incarnare l’affabulazione del suo mentore in un modo ricco di energia, semplicità e stile personale.

Un altro attore di rilievo che ha raccolto per certi versi in modo ufficiale l’eredità artistica di Dario Fo è Matthias Martelli, grazie anche alla regia di Eugenio Allegri che ha una lunga frequentazione della famiglia Fo. E quindi uno dei migliori requisiti per mettere in scena i loro spettacoli è aver conosciuto e frequentato Franca Rame e Dario Fo. Perché questo significa aver imparato da loro. E personalmente posso dire che s’imparava molto da quei due, dal loro amore per il teatro che li faceva grandi. E perciò sono loro grato per quel seminario di una settimana nel 2003 in cui ho potuto vederli all’opera.

Quando nel 1997 Dario Fo ebbe dei problemi di salute e non poteva stare in scena chiamò a sostituirlo, per Il diavolo con le zinne, Giorgio Albertazzi. In quel momento vide in lui l’unico interprete in grado di farlo e per il quale aveva la stima necessaria. I due si ritrovarono poi in un programma della Rai sul teatro e quando Albertazzi morì Fo lo ricordò come “un anarchico originale come me“.

2. L’affabulazione popolare

Fin qui la contiguità, la vicinanza dunque. Ma c’è anche un modo indiretto per rappresentare il suo teatro che riporta in vita l’atavica maschera dello zanni, i giullari e i comici della commedia dell’arte in tutta la loro carica satirica e gioviale. Mi riferisco a coloro che negli ultimi trent’anni sono stati capaci di un’affabulazione popolare autentica e il principe di tutti costoro è Ascanio Celestini, sul quale Fo ebbe parole di apprezzamento in tal senso. Nel 1993 ho visto questo astro nascente nel corso, che frequentammo insieme, sulla maschera dello Zanni del direttore dell’accademia Nico Pepe di Udine al Centro Teatro Ateneo di Roma La Sapienza. Ricordo ancora con piacere un suo esercizio sulla fame dello Zanni.

3, L’imitazione

E poi c’è un terzo modo di mettere in scena Dario Fo e cioè assorbirne il più possibile la lezione, provare a seguirne le tracce, creare qualcosa di nuovo sul suo solco. Che è un po’ quello che facevano gli umanisti quando imitavano gli antichi. Si badi bene che lungi da un’imitazione solo di superficie stiamo parlando del tentativo di salire sulla spalla dei giganti e portarne avanti la lezione. Per farlo bisogna abbandonare qualsiasi timore reverenziale e la paura del confronto. Ed è quello che sto cercando di fare con due miei lavori:

  1. Mistero Salentino, che propone storie di santi, di gatti e di matti della tradizione popolare di cunti e culacchi del salento;
  2. un mio progetto su Francesco D’Assisi che sul modello de Lu Santo Jullàre Françesco propone la concione di Francesco D’Assisi a Federico II e la predica del serafico al ragno, due testi da me scritti.

La rinascita

Dario Fo ha dunque tracciato una rotta, una strada di rinascita del teatro giullaresco e medievale, fra le altre cose. Essa è ora davanti a noi e viene già ripercorsa da chi con la tecnica del Grammelot, ad esempio, gioca sulle sonorità di lingue e dialetti. Essa ha bisogno di essere rinforzata, tenuta in vita e proposta alle nuove generazioni: un compito non semplice ma che vale la pena percorrere.

Che ne pensi? Hai mai visto uno spettacolo di Dario Fo, rappresentato da lui o da altri? Ti piacerebbe? Parlane nei commenti, grazie!

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