Che cos’è la recitazione: tre falsi miti su di essa

Prima di tutto è una brutta parola! Se vogliamo capire che cos’è la recitazione rendiamoci conto che di fronte a una persona falsa si è soliti dire che sta recitando una parte, che si vede che mente. Lo sapeva bene Thomas Milian, noto al pubblico italiano soprattutto per “Er Monnezza”. Pare che abbia affermato

Vengo dall’Actors Studio: io non recito, non inganno il pub­blico. Mi identifico nei perso­naggi. Oggi come allora vivo come loro, sono loro. Per que­sto Tor Marancia è ancora il mio quartiere preferito.

Non è l’unico a pensarla così. Carmelo Bene lo diceva spesso e lo ribadì in un’intervista a Domenica In del 1980 durante la quale affermò: «Io non recito. Faccio a meno dell’interprete».

Il verbo “recitare” significa citare due volte. La prima volta è l’autore che cita il parlato del personaggio scrivendolo. La seconda citazione avviene attraverso l’attore che cita quel che ha scritto il drammaturgo. E così il risultato diventa stomachevole e falso. Il problema sta nella lingua italiana. Infatti in altre lingue ci sono verbi migliori che definiscono quest’arte. Per esempio in inglese, in tedesco e in francese si usa il verbo “giocare”, lo stesso che si usa per suonare la chitarra o un altro strumento o per divertirsi. In effetti un attore gioca sulla scena o davanti alla macchina da presa.

La recitazione è dunque il gioco dell’attore, la sua arte ma è anche ciò di cui egli fa a meno, ciò di cui si libera come orpello fastidioso, addirittura come ostacolo. Dire che un attore sta recitando vuol dire che sta svolgendo male il suo mestiere. Perché smettere di recitare è appunto il primo importante passo non tanto verso l’autenticità, ma verso la coerenza, ciò che davvero viene richiesto a un artista.

In cosa consiste allora questo gioco? Nel rispondere a una chiamata, a una vocazione, non molto diversa da quella al sacerdozio o per i voti religiosi. E anche in questo caso occorre discernerla con calma, ci vuol tempo per capirla, a volte anni. Perché come dice il mio amico regista Enzo Toma quella del teatro (e del cinema) è una chiamata a cui molti rispondono senza essere stati chiamati.

Ma chiamati a fare cosa? A non esser più se stessi. E qui sfatiamo il secondo falso mito. In genere si dice a chi deve recitare o fare un discorso in pubblico o una qualunque performance: sii te stesso. Questo è il consiglio più inefficace e anti-artistico che si possa dare, anche se sembra in antitesi con quel che ho scritto prima. Ma il punto è che un artista è una sorta di medium, un canale attraverso il quale scorre la grazia divina. Come tale egli rinuncia proprio a se stesso, entra in un flusso dionisiaco, in uno stato di ebbrezza e furore, nel quale ci sono molteplici identità che danzano, che appaiono e scompaiono a seconda del momento. Un attore è già tutti i suoi personaggi. Deve solo ricordarli volta per volta.

Per questo a un attore o a un artista in generale un regista o un mentore di continuo ripete “togli, togli, fai meno, di meno ancora!”. Infatti di primo acchito si tende a recitare appunto, a “far vedere”, a mostrare invece di vivere. In questo può aiutare la tecnica perché attori non si nasce ma si diventa. E abbiamo così introdotto il terzo falso mito popolare secondo il quale di fronte a un enorme talento, mettiamo come Totò, si esclamerebbe che attori si nasce. Il talento è una trappola perché oggi c’è e domani potrebbe non esserci. Certe volte nella stessa giornata è a intermittenza. Più del talento conta il lavoro dell’attore su se stesso, la tecnica come sapeva bene Stanislavskij ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

E per te che cos’è la recitazione? Parlane nei commenti se vuoi, dì la tua! Se vivi nei dintorni di Oria (Br) a breve e cioè Settembre 2022, partirà un corso di recitazione che terrò per alcuni allievi. Segui il blog per saperne di più. Ma già da ora potresti anche prenotare una lezione privata con me.

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