L’attore è un mezzo artista

L’attore è un mezzo artista, perché da una parte è un demiurgo che plasma la materia della scena e dall’altra è lui stesso materia che viene plasmata dal regista. Perciò lui propone una o più versioni del personaggio ma è il regista che ha la visione complessiva su di esso e sugli altri personaggi. Quindi l’attore fa metà dell’opera e per l’altra metà è lui il colore che deve lasciarsi stendere sulla tela. Per riuscirci al meglio deve avere grandi doti di flessibilità. I registi, infatti, amano soprattutto quegli attori che sono facili da dirigere, che si lasciano guidare senza frapporre ostacoli o rigidità. L’attore deve stare in un flusso creativo che innesta sul proprio filone le indicazioni che gli vengono dall’esterno.

L’attore non solo interpreta il personaggio, ma contribuisce alla creazione dell’opera stessa, dando vita a un personaggio credibile e autentico che riesce a coinvolgere il pubblico. Per tale motivo il film o lo spettacolo teatrale al 50% è opera sua. Il restante 50% è però frutto del lavoro del regista che riesce a valorizzare le proposte degli attori modellando i loro corpi, le loro voci, le loro interpretazioni. A volte può succedere che il regista abbia un’idea e che si lasci convincere invece dall’attore come è successo a me nel primo film in cui ho lavorato in cui Sergio Rubini cercava un personaggio scattoso e nervoso ne L’amore ritorna (2004), alla Giancarlo Giannini da giovane, e io invece gliene proposi uno placido e tranquillo. Nonostante la mia scelta fosse l’opposto di quel che lui voleva mi scelse. Ma queste sono eccezioni. Nel 90% dei casi bisogna capire quel che lo sceneggiatore suggerisce con la scrittura di scena e il regista vuole e bisogna permettere a quest’ultimo di indirizzarti vero le sfumature giuste.

Ecco perché i registi lavorano per lo più quasi sempre con gli stessi attori. Sul set non c’è tempo di fare molto lavoro sul personaggio. Bisogna capirsi al volo, trovare subito la direzione giusta. Ed ecco perché è bene frequentare dei corsi e dei workshop simulando il più possibile un vero e proprio set e quindi mettendosi in quelle condizioni precise nelle quali non è facile destreggiarsi perché bisogna tenere in conto la posizione della camera, il percorso che bisogna fare o la particolare posa da tenere a favore di camera e luci, l’interazione con gli altri attori, le pause e molti altri fattori più o meno variabili.

Mi sono accorto ancora di più di questo particolare status dell’attore durante il terzo workshop per attori tenuto ad Oria (Br) da Giorgio Vignali per conto del Generation Film Fest. Abbiamo lavorato infatti sui movimenti di camera, su primi piani e controcampi. E mentre lo facevamo Giorgio era accanto alla camera a dirigerci. In tutto questo bisogna riuscire non solo a rendere la naturalezza di ciò che si sta dicendo e facendo, quando invece ci si trova in una condizione artificiale, ma occorre anche riuscire a centrare quel vero più del vero che è ciò che in fondo cerchiamo in un attore. Un’impresa per nulla facile come sanno alcuni registi, come Winspeare e altri, che qualche volta hanno provato a mettersi davanti alla macchina da presa.

Se ci si pone in modo duro e inflessibile tutto questo diventa impossibile. Al contrario è bene essere come la tempera che esce dai tubetti a cui il pennello del pittore attinge nella quantità e nei modi necessari. C’è una precisa economia in questo che conoscono bene gli attori con la sindrome di down che una volta il regista teatrale Enzo Toma mi rivelò essere i migliori nel recepire le indicazioni dal regista mentre sono al lavoro sul palco. Senza uscire dal personaggio e senza abbandonare quel che stanno facendo né fermarsi sono capaci di inglobare tutto in modo consequenziale. In questo sono maestri di presenza scenica.

Tanto più si può riuscire in questo quanto più c’è l’ascolto. È quest’ultimo il vero strumento in mano all’attore che gli permette di essere spontaneo e credibile. Se si pensa alle proprie battute senza reagire a quelle del partner in scena si vede da lontano che stai recitando. Invece se si reagisce in modo appropriato a quello che l’altro dice allora siamo di fronte alla verità della scena. Ma l’ascolto va prestato anche al regista prima e persino durante la performance. Un buon pittore a volte cambia alcune forme e dei colori, può sempre avere dei ripensamenti. Allo stesso modo può darsi che il regista faccia dei cambi in corso che bisogna avere la prontezza di spirito di cogliere e far entrare nel proprio ruolo, al momento.

In conclusione, l’arte dell’ascolto rappresenta un’importante dotazione per l’attore e può essere appresa attraverso la frequentazione di corsi e workshop. Se sei un attore o sei interessato alla recitazione, ti consiglio di iscriverti al prossimo workshop di Giorgio Vignali, che si terrà il 29 e 30 aprile 2023 ad Oria (Brindisi). Durante il workshop, potrai apprendere come destreggiarti sul set e come integrare le idee e le performance del regista nella tua performance, creando un dialogo autentico e naturale con gli altri attori. Cogli l’opportunità di migliorare le tue doti e di acquisire nuove competenze: scrivi un’email all’indirizzo [email protected] per saperne di più sul prossimo workshop di Giorgio Vignali!

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