Il cuore del cuore della recitazione

Foto di Alessandra Pomarico.

«Oddio, mi ricorderò le parole? Mi sa che non ho ripassato abbastanza, spero che la memoria non mi faccia brutti scherzi». Questo pensano spesso o dicono certi attori, specie quando hanno avuto poco tempo e le battute da ricordare sono tante. L’altro pensiero che li preoccupa riguarda i movimenti che devono fare, in special modo quando la scena coinvolge un altro attore o, peggio, più attori. Ed allora nella fase di preparazione cercano di concordare ogni minimo dettaglio con gli altri: «Allora, tu ti sposti a sinistra, poi io ti prendo la mano e a quella battuta che dirai ci guarderemo, piano piano poi alziamo la testa verso l’alto torcendo il busto a destra e i piedi dall’altra parte…».

C’è sempre qualcuno che ha più bisogno di controllare ogni aspetto sin da subito, ancor prima che il regista o il coach, durante i corsi e i workshop, dia indicazioni. Altre preoccupazioni, poi, riguardano il costume, laddove se ne prepari uno, che a volte è parecchio complicato. Aggiungiamoci un po’ di paura del giudizio proprio e degli altri su quello che si sta per fare e la ricetta della distrazione è pronta. In questo modo, infatti, si finisce con l’essere fuori di se stessi, di non essere presenti e quindi di non centrare il proprio personaggio.

Il punto è proprio questo: il cuore del personaggio o, meglio ancora, della scena. Ci sono tutta una serie di elementi che, intanto, sono più importanti di quelli che ho citato prima e cioè tutto il repertorio di “attrezzi” di ogni attore come l’obiettivo del personaggio, quello della scena, la memoria emotiva (se è presente nel proprio bagaglio) o l’improvvisazione (se si tratta di esperienze mai provate), l’antefatto, gli oggetti di scena, ecc. Ma anche questi rischiano di portare alla disattenzione. Quel che davvero conta al di là di tutto è restare concentrati, all’interno delle stanze più segrete ed intime del personaggio e, prima ancora, di se stessi. Al cuore del cuore dunque bisogna mirare. Un po’ come gli 🏹 arcieri. Diritti al centro.

Il resto viene da sé, molto più naturale, spontaneo, vero, anzi più reale del reale. È qui dentro la fonte principale delle emozioni, quelle che rendono l’attore interessante e lo spettatore incollato alla poltrona per non perdersi nemmeno un dettaglio. Qui il gioco si fa serio, ti prende e non puoi più lasciarlo, non vuoi più separartene. È in questo modo che l’attore diventa Caronte, il traghettatore delle anime. Queste ultime diventano docili, abbandonano le difese iniziali, credono a chi sta in scena e si lasciano portare via, senza nemmeno accorgersene.

È dunque il lavoro interiore la via privilegiata per tutto questo, specie quando non si ha tempo per pensare a tutta una serie di dettagli. Potremmo persino dimenticare ogni parola da dire e, pazienza, improvviseremo. Non sapremo come muoverci ma troveremo quei movimenti che più sono conformi a quello che abbiamo da dire. E supereremo ogni ansia e ogni angoscia. E se non va bene, se siamo andati fuoristrada riproveremo, torneremo a mirare ancora meglio o recupereremo magari alcune informazioni che abbiamo trascurato o che non avevamo. La via del cuore del cuore della recitazione è sempre aperta, a patto che si decida davvero di intraprenderla e si eviti di barare.

Mi è venuta in mente questa riflessioni eri durante il workshop per attori con Giorgio Vignali che con gli amici del Generation Film Fest stiamo organizzando con una certa periodicità ad Oria (Br). Il prossimo è previsto per Febbraio ed è un’occasione davvero importante per imparare di più sull’arte degli attori e per mantenersi in esercizio perché come ho scritto in un altro post l’attore è un po’ come un pugile, un atleta che deve mantenersi in allenamento.

Ti sei trovato in condizioni simili? O hai notato performance di attori che non ti convincevano oppure che ti hanno trascinato? Sapresti dire perché? Scrivilo nei commenti, mi piacerebbe aprire un confronto su questo. Grazie!

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