Fare impresa con l’arte e la cultura

Foto di Arantxa Treva.

L’artista è spesso visto nell’immaginario collettivo come un dandy, un povero spiantato che non ricava da vivere dalla sua arte. Il più vasto campo della cultura è poi appannaggio delle grandi istituzioni, delle fondazioni, degli enti, ecc. O almeno così pare. Infine, salvo l’isola felice di Hollywood dove ci sono cachet fantasmagorici solo per gli attori di punta, anche chi decide di fare del cinema la sua arte sembrerebbe che si auto-condanna ad una vita difficile. L’arte pura si ritiene sia lontana da risvolti commerciali come accade per le band musicali che quando conoscono un successo maggiore dei primi tempi vengono tacciate di essersi svendute. Insomma, con la cultura non si mangia come avrebbe detto Giulio Tremonti anni addietro, anche se di recente ha smentito di aver affermato questo.

I cartelloni di tanti comuni sono pieni zeppi di iniziative di associazioni amatoriali, dilettantistiche. I loro membri hanno l’hobby di qualche arte ma la loro professione è in tutt’altro campo. Fanno un lavoro non artistico perché convinti che l’arte non renda, non dia possibilità di mettere su famiglia per capirci. Eppure I veri artisti non fanno la fame come scrive nel suo libro Jeff Goins. Quello dell’artista bohémienne è un mito che risale alla seconda metà del 1800. La verità è un’altra. Se usciamo dal luogo comune che artisti si nasce e che invece lo si diventa imparando ogni giorno le cose cambiano. Se abbandoniamo le mura domestiche e iniziamo a creare in pubblico allora si va incontro a committenti, acquirenti, pubblico, spettatori.

L’altra grande differenza è tra chi lavora gratis e il vero artista per il quale è indispensabile il compenso. A partire da questi elementi è allora possibile iniziare a pensare ad una logica imprenditoriale. L’opera di uno scrittore, di uno scultore, di rapper ecc. non è quella di un genio isolato come credevano i romantici. Non serve un genio ma uno scenio. Oltre a Jeff Goins ne parla Austin Kleon in Semina come un artista. Lo scenio è il fermento culturale di una città, di un luogo, l’It Factory, il network, la rete delle connessioni che tu stesso crei.

Spesso sento colleghi attori o altri artisti vantarsi di conoscere attori o registi o altri artisti famosi. Buon per loro. Ma non è importante chi conosci ma chi stai aiutando. Il segreto dello scenio è il servizio agli altri artisti. La cultura diventa una rete in cui i nodi sono gli appartenenti stessi. Questa inizia ad essere quindi anche una realtà sociale e a risolvere i problemi di un territorio. Inizia a trasformarlo, a renderlo più attrattivo per i turisti. Diventano possibili anche le aspirazioni di nuovi talenti che trovano terreno fertile ed ispirazione.

Come afferma Jacques Attali in Scegli la tua vita siamo nel bel mezzo di un Nuovo Rinascimento artistico e culturale. È l’epoca migliore di sempre per le produzioni culturali ed artistiche. A patto che ciascun artista ed operatore socio-culturale crei e nutra lo scenio, la relazione con tutti gli altri attori, miri il suo operato ad una continua produzione pubblica dei suoi lavori e diffonda il più possibile le sue stesse idee già sul nascere.

Avevi mai sentito parlare dello scenioi questi elementi per fare impresa attraverso arte e cultura? Tu come ti muoveresti? Parlane nei commenti, grazie.

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