Il caso Orlandi tra cinema e televisione

Oggi, 22 giugno 2023, ci troviamo a quarant’anni esatti da una delle sparizioni più misteriose della nostra storia. Tuttavia, al di là del dolore e dell’attesa che la famiglia Orlandi ha vissuto in questi anni, c’è un aspetto che merita particolare attenzione: la narrazione che ha circondato questo caso. Dagli scintillanti riflettori dei media alle produzioni cinematografiche che hanno cercato di dare voce alla sua storia, l’immagine di Emanuela Orlandi è stata plasmata e reinterpretata in modi sorprendenti. In questo articolo, esploreremo in breve le molteplici sfaccettature di questa narrazione e ci interrogheremo su alcuni importanti aspetti che essa comporta.

La narrazione è una forza potente che plasma la nostra percezione della realtà e influenza il modo in cui comprendiamo gli eventi. Nel caso di Emanuela Orlandi, il potere dello storytelling si è rivelato evidente, con implicazioni sociologiche significative. Le storie raccontate sul suo caso hanno cambiato l’immagine pubblica di Emanuela, trasformandola in un simbolo di mistero, speranza e ingiustizia. I media e le produzioni cinematografiche hanno contribuito a perpetuare e modificare questa narrazione nel corso degli anni, creando un certo impatto sulla società italiana. In questo articolo, esploreremo il ruolo dello storytelling nel caso di Emanuela Orlandi, analizzando come ha influenzato le percezioni collettive e la ricerca della verità.

La figura di Giovanni Paolo II ha avuto un impatto significativo sin dai primi giorni. Questo papa è stato il primo a sollevare pubblicamente l’ipotesi del rapimento, senza che gli inquirenti si pronunciassero in tal senso. Le sue dichiarazioni hanno immediatamente catalizzato l’attenzione e l’interesse, generando una vasta copertura mediatica e un crescente coinvolgimento dell’opinione pubblica.

Tuttavia, l’enorme notorietà acquisita dal caso a seguito delle sue affermazioni ha portato anche a un pericolo reale per la vita di Emanuela. L’attenzione mediatica internazionale poteva spingere i presunti rapitori a uccidere Emanuela. Ecco perché autorevoli giornalisti affermano che in realtà il papa sapeva già cosa fosse accaduto alla ragazza.

Alì Agca, noto per il suo attentato al Papa Giovanni Paolo II, ha anche lui suscitato interesse in questo caso con le sue dichiarazioni riguardanti un coinvolgimento internazionale. Tuttavia, è fondamentale valutare criticamente la sua credibilità. Nonostante le speculazioni, le sue dichiarazioni sono risultate prive di conferme concrete e non hanno portato a sviluppi significativi nelle indagini.

È importante sottolineare che Alì Agca ha una storia di dichiarazioni sensazionalistiche e infondate. La sua attendibilità è stata messa in discussione in più occasioni, sollevando dubbi sulla veridicità delle informazioni da lui fornite.

In questa storia, poi, sono potenti anche le immagini come accadde con le foto del rapimento di Aldo Moro. Pur non trovandoci di fronte a un rapimento, perché mai provato, la foto di Emanuela è diventata un’icona al pari un po’ come quella di Che Guevara, il bacio del marinaio di Alfred Eisenstaedt, lo sbarco sulla luna ecc. La ragazza sorridente ci ha accompagnato per tanti anni con la sua fascettina sulla fronte nera, in realtà giallo-rossa visto che Emanuela era tifosa della Roma. Ma la foto era in bianco e nero e quindi nell’immaginario collettivo è restata nera. Essa è stata restaurata di recente in digitale da Gregorj Cocco, insieme a quella di Mirella Gregori, alla quale è legata una vicenda altrettanto misteriosa anche se un po’ meno nota.

A proposito di immagini ci sono quelle cinematografiche e documentaristiche, altrettanto importanti. Il primo film fu Liberate Emanuela che già dal titolo fa capire che fu sposata la tesi del rapimento, mai dimostrata. Fu girato in Turchia tre mesi dopo la vicenda da Gianni Crea. Fu proiettato una sola volta, a montaggio non concluso. Venne subito sequestrato dalla magistratura ed in seguito distrutto dopo un furto. Queste immagini non le ha dunque viste nessuno si può dire ma la distruzione della pellicola racconta di un’altissima tensione.

Al 2016 risale, poi, La verità sta in cielo, di Roberto Faenza che mette in evidenza soprattutto le dichiarazioni di Sabrina Minardi, che ebbe una relazione con Enrico De Pedis (interpretato da Riccardo Scamarcio), spesso dipinto come elemento di spicco della Banda della Magliana, quando in realtà ebbe un ruolo marginale in tal senso. E a dirla tutta il nome della banda è un’etichetta giornalistica che ha gonfiato alcune iniziative della malavita romana. ItaliaOggi parla di un flop di questa pellicola nonostante completi in qualche modo una campagna mediatica precedente incentrata sulla sepoltura di De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare, poi dimostratasi avvenuta per ragioni più banali e semplici di quelle strombazzate dai media come ha dimostrato Pino Nicotri.

Molta più fortuna ha avuto, invece, Vatican Girl, la docu-fiction prodotta da Netflix del 2022 e girata in UK e diretta da Mark Lewis. Si parla, infatti, di un successo planetario che ha fatto il punto sull’intricatissimo caso, riassumendo tutte le piste seguite finora e che si sono dimostrate infruttuose. Alla fine se ne sottolinea una legata agli abusi sessuali nel Vaticano.

Forse è in virtù dell’enorme pressione che essa ha comportato con i tanti utenti della rete da tutto il mondo che parlano ormai di Emanuela che papa Francesco ha deciso, per la prima volta, di aprire il caso affidandolo alla gendarmeria vaticana. Successivamente anche la procura di Roma ha riaperto il caso dopo l’archiviazione. Ed è in corso al senato della Repubblica l’istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. Anche se, ad onor del vero, anche questo iter si sta complicando.

In questa veloce carrellata vanno citati il fratello Pietro e il giornalista Andrea Purgatori. I due fanno spesso coppia e sono quelli che storicamente hanno più parlato del caso. Sono parte di questa narrazione, sono tra gli attori principali. Anche loro hanno plasmato con i sit-in, le ospitate televisive, le tante interviste tutta la vicenda. Hanno fatto e stanno facendo le loro scelte, quindi hanno un ruolo di responsabilità nel formare l’opinione pubblica che segue il caso.

Altri attori, poi, hanno cercato di ritagliarsi un ruolo di primo piano, come il fotografo Marco Fassoni Accetti che si è auto-accusato del sequestro di Emanuela e di Mirella. Tra i mitomani è di sicuro quello più di spicco perché in possesso di una conoscenza eccellente di molti particolari del caso e del presunto ritrovamento del flauto di Emanuela. Gli inquirenti alla fine non gli hanno creduto e Pietro lo ha messo alle corde in un drammatico confronto.

In quella trasmissione lo stesso Pietro affermò che questo non è un rebus, non è un gioco. Prendo a prestito questa sua frase per concludere questa breve presentazione dei principali elementi della narrazione cine-televisiva del caso, il cui clamore attira ancora oggi miriadi di persone che, a qualche titolo, si sentono in dovere di dover dire qualcosa. Questa è anche l’umanità ma il problema è che si è perso il senso del pudore, del rispetto per la sorte di Emanuela, per il dolore della famiglia e la legittima richiesta di avere dei resti su cui piangere o una versione dei fatti ancorata a prove certe. Certa narrazione distorce i fatti, li depista, li trasforma in qualcosa su cui nutrire la curiosità morbosa. E l’unico antidoto, io credo, è di cercare di procedere con scrupolo e metodo, non dando mai nulla per scontato.

Mi fermo qui in questo excursus che meriterebbe in realtà ben più spazio e approfondimento. Ma se tu hai qualche domanda, qualche dubbio, qualche aspetto sul quale desideri un approfondimento scrivilo nei commenti e sarò lieto di occuparmene. Grazie!

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