I pattini di Giacomo

Foto di Andrea Piacquadio.

Pioviggina, le gocce toccano il suolo ed evaporano. C’è afa e il respiro è un po’ pesante. Maledetto scirocco pensava fra sé Bartolomeo mentre apriva il portone della chiesa come ogni giorno alle nove. Un’ora dopo, di solito, arrivava don Gino che gli diceva un po’ le cose da fare, come preparare la chiesa per qualche funerale al pomeriggio o matrimoni per l’indomani. Oppure c’era qualche stanza per il catechismo da pulire o magari c’era da andare a pagare qualche bolletta. Ci teneva il parroco a tenere aperta la chiesa al mattino, anche se non veniva mai nessuno, o quasi. Ma quel giorno di inizio Ottobre il meccanico del paese venne a raccomandare la sua anima al cielo.

Bartolomeo non lo aveva mai visto in chiesa. Giacomo, il meccanico, era un po’ come un piatto: guardava solo a pochi passi attorno a sé, mai si spingeva oltre o alzava il suo sguardo verso l’alto. Era compito, puntuale e preciso nel suo lavoro. Mai una lamentela su di lui ma il suo mondo era ristretto e circoscritto. Che sarà mai successo, si chiese il sagrestano. Il meccanico restò a lungo in chiesa, poi parlò per tanto tempo con il parroco e si udì bene che parlava di un convento. E la cosa incuriosì il nostro Bartolomeo.

Foto di Andrea Piacquadio.

Per arrivare in chiesa passava sempre da una via parallela a quella dell’officina di Giacomo. Perciò al pomeriggio, poco prima di riaprire la chiesa, decide di passarci davanti. Era aperta come sempre. Il titolare e il suo operaio si adoperavano su un motore ma alla parete notò diversi fori in cui erano conficcati degli spiedi, delle aste di ferro a cui erano appesi dei pattini. Ce n’erano una ventina in totale, nuovi di zecca.

Passarono tre mesi senza che null’altro accadesse e Bartolomeo si dimenticò della stranezza che aveva visto quel giorno di ottobre. Erano da poco passate le festività natalizie quando vide Giacomo alla guida di un autobus in cui c’erano gli ospiti dell’ostello del paese, in genere dei giovani giramondo che restavano un paio di giorni a vedere il castello, la cattedrale, la zona archeologica e poi andavano via. Scesero in uno spiazzo e indossarono tutti i pattini che aveva visto appesi nell’officina. Mentre Giacomo era intento ad osservarli. Su ogni pattino c’era un otto stampato sopra un adesivo.

Prima la visita in chiesa e poi la lunga chiacchierata con il parroco in cui parlava di un convento e ora questi pattini ai piedi di ragazzi che si era messo ad osservare. Nei suoi tanti anni di lavoro Giacomo era sempre stato in officina, prendeva due caffé al bar, al mattino e al pomeriggio, e la domenica faceva una passeggiata con la moglie. Mai niente di diverso. Bartolomeo parcheggiò e decise di scambiare due chiacchiere con lui.

«Ehi, vecchio coccodrillo» lo apostrofò Bartolomeo. Questo era il suo soprannome, il coccodrillo, per via del fatto che nell’unico giorno di ferie che si era preso in vita sua era andato allo zoo safari con la moglie e al ritorno e nei giorni seguenti non faceva altro che parlare dei coccodrilli che aveva visto.

«Bartolomeo, pure qua vieni a battere il tovagliolo?» gli chiese l’altro. Tutti in paese dicevano che il sagrestano batteva il tovagliolo, per scherzo, perché quando andava all’osteria si lamentava sempre del fatto che trovava già il tavolo apparecchiato con bicchiere, posate e tovagliolo e diceva che così inghiottiva la polvere e quindi la scrollava battendo il tovagliolo.

«Ti sei messo costruire pattini adesso?».

«Eh, non vedi che bisogna fare per mangiare?».

«Hai saputo chi se ne va in convento?» chiedeva, più tardi, una bizzoca all’altra in attesa del rosario in chiesa. Bartolomeo sentì questa frase e si mise a origliare più da vicino le due vecchie. Facevano il nome di Giacomo.

Altri tre mesi passarono, arrivò la primavera, non udì altro su questa storia e in officina da Giacomo tutto procedeva come ogni giorno. I pattini non c’erano più, forse li aveva venduti, chissà.

Il mercoledì santo la macchina faceva uno strano rumore. Bartolomeo andò dal meccanico ma era chiuso. Anche al pomeriggio non c’era nessuno. In chiesa allora domandò a don Gino se per caso sapesse qualcosa di Giacomo.

«Il nostro meccanico è andato a riscaldare altri motori».

«In che senso?».

«Sta facendo qualcosa di molto positivo per il futuro».

«Che cosa?».

«Giacomo, ora è un estrattore».

«Estrattore? Che vuol dire? Di cosa?».

«Vedi Bartolomeo, grazie ad una vincita al superenalotto è diventato milionario. Ha tirato fuori una sua vecchia idea di fabbricare pattini a rotelle con un brevetto che aveva lui».

«Ah mi fa piacere don Gino, buon per lui. Ma io ho sentito parlare anche di un convento, giusto?».

«Già».

«Quindi? Che c’entra il convento?».

«Non essere pettegolo pure tu Bartolomeo. A suo tempo saprai tutto».

Sì, ma ora come faccio con la macchina? E se si rompe? Perché fa quel rumore? A questo pensava il sagrestano. E decise di andare all’officina di un altro meccanico al paese vicino. Qui trovò uno strano cartello, un otto appeso alla parete. Il meccanico gli aggiustò la macchina e al momento di pagare gli chiese perché aveva appeso quel numero. E questi gli rispose che non era un otto, che era il simbolo dell’infinito girato di novanta gradi. E Bartolomeo si ricordò che i pattini a rotelle di Giacomo avevano un piccolo logo sopra, proprio quell’otto. Lo riferì al meccanico e questi gli disse che anche lui aveva in effetti lavorato a quei pattini speciali. Allora il sagrestano gli chiese che cosa mai avessero di straordinario. Ma il meccanico scosse la testa come per dirgli che non poteva parlare.

Foto di Steve Johnson.

Quella notte Bartolomeo sognò di quando era ragazzo e andava al liceo. Si ritrovò alla lezione del suo vecchio prof. di storia e filosofia. Stava parlando dell’infinito matematico. Diceva che grazie ad esso possiamo pensare allo spazio illimitato dell’universo, come se fosse fatto di rette parallele.

«Ma tale visione ha un limite» sentenzia il prof.

«Non tiene conto della verticalità. Perciò dobbiamo far virare il nostro simbolo, il cosiddetto lemniscata, di novanta gradi». E disegnò un otto grande quanto la lavagna.

Sognò altre cose come un ercolino sempreinpiedi e delle bambole matrioska. Infine sognò sua moglie, morta alcuni anni prima, che faceva la cameriera e che tornava sempre con i piedi gonfi e doloranti. E lui che glieli massaggiava. Era contento perché gli sembrava che la moglie fosse tornata dopo che le era successo qualcosa, che era mancata. Ma al risveglio tornò la realtà amara e che gli faceva ancora male.

Quel giovedì santo fu davvero impegnativo. Non c’è rito che richieda più lavoro e preparazione di quello dell’inizio del triduo pasquale. E poi quest’anno don Gino aveva deciso di fare la lavanda dei piedi a dei rappresentanti dei suoi collaboratori in parrocchia: catechisti, iscritti all’azione cattolica e ad altre associazioni, due chierichetti e a lui, il sagrestano.

Finita la funzione bisognava adoperarsi per accogliere i fedeli che in paese girano di chiesa in chiesa per visitare gli altari della reposizione, che tanti scambiano per “sepolcri”. Bartolomeo e altri volontari sistemarono i banchi in modo da favorire il flusso delle persone. Finito anche questo il sagrestano uscì fuori per fumare. Stava accendendo la sigaretta quando sentì più in là alcuni schiamazzi, gente che applaudiva, alcuni che fischiavano. Incuriosito si avvicinò e notò gli otto frati del convento in paese che sfilavano via pattinando sui pattini di Giacomo. Li usarono per tutta la notte per spostarsi di chiesa in chiesa.

Bartolomeo un po’ sorrideva, un po’ ebbe gli occhi umidi, un po’ scuoteva la testa. Tra gli astanti c’era chi urlava «Bravi, bravi!» e chi invece diceva: «Vergogna! Pagliacci!». Quasi tutti, poi, avevano lo smartphone in mano per foto e video. Ne vennero postati davvero tanti e i commenti erano ininterrotti. Alcuni video diventarono virali e se ne parlò anche sui quotidiani e in televisione l’indomani.

Fu tirato in ballo il priore del convento, che fu molto criticato, anche perché l’iniziativa serviva anche a fare pubblicità alla neonata azienda che produceva dei pattini speciali che tutti potevano indossare e usare senza cadere perché grazie ad un particolare sistema reggevano in piedi la persona che li indossava. I frati avevano ricevuto dei soldi per utilizzarli, anche se li devolverono in beneficenza per i poveri del paese. Il priore si giustificò dicendo che così i due frati anziani, perché novantenni, che avevano difficoltà a camminare e che di rado uscivano dal convento, avevano potuto recarsi in tutte le parrocchie.

Bartolomeo vide e lesse tutto sull’argomento. E sorrideva. Pensava al suo vecchio professore e a sua moglie.

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