Domande sulla forza delle immagini

Ieri sera vedevo dei buoni cortometraggi a Vicoli Corti, ben fatti, da ogni punto di vista: sceneggiatura, regia, fotografia, ecc. Si vedeva che c’erano registi esperti, buoni direttori della fotografia, scenografi in gamba, ecc. Stavo per andare via dopo aver visto le prime due proiezioni della serata quando piombano le immagini del documentario in programma Due scatole dimenticate, una produzione del 2020 con la regia di Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli. La mia intenzione di alzarmi dalla sedia viene subito stoppata e il tempo vola in quei cinquantotto minuti di film che all’inizio mi avevano un po’ spaventato. Ho pensato che per un lavoro del genere erano troppi e che mi sarei annoiato. Invece altro che noia!

Vale allora la pena dare un’occhiata al trailer qui di seguito.

Questo film mi ha inchiodato sulla sedia nonostante avessi fame e persino un iniziale bisogno fisiologico di andare a fare la pipì dopo già qualche ora che ero seduto. E mi sono chiesto come mai. Stamattina la riposta mi è balenata in testa: la forza, la potenza delle immagini, oltre che un montaggio geniale.

Tanti studiosi hanno scritto su questo tema e ci sono varie belle pubblicazioni. Io voglio affermare, sottolineare solo una cosa semplice semplice: se vuoi fare un qualunque video chiediti quanto sono forti le tue immagini. Non sto dicendo che devi filmare violenze, morti per terra, scene di sangue. Non si tratta di questo. Parlo, semmai, della forza estetica, prima di tutto. E anche qui devo precisare: può darsi che tu abbia una scenografia e dei costumi ben curati, oltre che degli attori ben truccati. Non è questa l’estetica di cui parlo. Mi riferisco, invece, a due caratteristiche: l’economia, la semplicità delle tue immagini e la composizione, l’inquadratura. Per fare un esempio e per restare nell’ambito del film a cui ho accennato diamo un’occhiata ad una sua clip.

Come si vede i due registi hanno lavorato su un doppio registro: la testimonianza di Cecilia e le foto scattate in Vietnam nel 1964. Da una parte delle scene girate in casa della regista e dall’altra le immagini conservate nelle due scatole di cui si parla. Ne risultano delle sequenze che richiamano e mantengono l’attenzione per la loro immediatezza, per l’essere spoglie da qualsiasi artificio, per la loro naturalezza, anche se ci sono inquadrature, tecniche, montaggio, musiche e quindi tutto un lavoro di post-produzione dietro.

Io credo che occorra farsi sempre alcune domande quando si mostra uno video, una pellicola, uno spettacolo, un talk show, una storia su Instagram: che cosa vedranno con i loro occhi gli spettatori? E quindi: che cosa mostrare loro? Che cosa far vedere? E come? Quali sono le immagini più potenti e che meglio raccontano, nel minor tempo possibile, quel che vogliamo comunicare? Sembrano scontate eppure il più delle volte sono disattese.

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