
Quarant’anni fa mio padre fece la sua più importante scelta di vita, dopo quella del matrimonio. Diventare madonnaro. In questi giorni a Oria, suo paese di adozione, ne viene ricordata la figura, a tre anni e sette mesi dalla sua scomparsa, attraverso il Primo Raduno di Primavera dei Madonnari il 3 e 4 maggio 2025, tra Piazza Donnolo e via Dragonetti Bonifacio, intitolato appunto a Leonardo Vitale. Luogo significativo, tra l’altro, perché costituisce una delle location da lui predilette durante le festività oritane.
Nel mio blog ho dedicato più di un articolo a lui. Infatti ho parlato della sua arte viaggiante, del libro che gli è stato dedicato, delle pietre d’inciampo, di alcune iniziative per ricordarlo. Per questa occasione mi sono venute in mente le dieci principali lezioni che mi ha trasmesso con la sua arte. E facendo un po’ il verso alle Lezioni Americane di Italo Calvino, voglio qui proporre le sue dieci lezioni madonnare.
Tra la strarda e la memoria
Non sono un critico d’arte e non scrivo da una cattedra. Sono un artista, anche se di altra natura. Ho avuto modo di fare i miei studi ma queste mie parole nascono dalla polvere delle strade, dai gesti pazienti di mio padre inginocchiato sull’asfalto, dalla bellezza improvvisa di un volto sacro tra le crepe del marciapiede.
Per anni l’ho seguito da vicino, condividendo la sua vita errante da madonnaro. Accanto a lui, ho imparato che l’arte non chiede titoli, né riconoscimenti ufficiali: chiede presenza, umiltà, dedizione.
Ripropongo ciò che ho imparato da lui per ringraziarlo e per dare un contributo esperienziale a chi sta organizzando il raduno e vale a dire la professoressa Anna Maria Andriani, Imma Torchiani, assessore alla cultura, l’associazione ArtimentiCreative, il Comitato dei Festeggiamenti di San Francesco di Paola.
I. Rottura di un pattern
Un dipinto per terra, sull’asfalto o sul marciapiede, interrompe una continuità più o meno noiosa, un’interfaccia, potremmo dire, fatta di marciapiedi, segnali stradali, asfalto, ecc.: una superficie piuttosto prevedibile. All’improvviso qualcosa colpisce l’attenzione con forme e colori, un certo gusto, delle immagini inaspettate e che sembrano fuori contesto, ma che ben si sposano con il luogo in cui s’incrocia la raffigurazione. In una società, come la nostra, dove siamo di continuo bombardati da stimoli di ogni natura e provenienza, soprattutto tecnologica, questa proposta analogica, artistica, continua ad essere una geniale offerta in termini di attenzione. Sa ben colpire l’occhio del viandante, forse più di ogni altra espressione artistica estemporanea.
La sorpresa, insomma, è grande e aggiunge poesia al noto, al solito. E un buon madonnaro, come mio padre, con l’esperienza sa trovare l’angolo giusto, quella postazione che meglio permette di apprezzare l’opera. Per questo motivo passava diverso tempo a studiare i posti in cui andava. Ciò corrispondeva anche ad una precisa esigenza di colpo d’occhio che aveva imparato ad attrarre.
II. Esperienza dell’effimero
Il gesso ben riempie le porosità del manto stradale, soprattutto quando non è né fresco né troppo levigato, vi aderisce a meraviglia. Ma questo avviene per un tempo brevissimo perché gli agenti atmosferici, gli pneumatici, le pedate dei passanti lo asportano. Un’immagine sacra o profana può richiedere da uno a tre giorni, in genere, per essere riprodotta dal madonnaro e quindi una notevole rapidità rispetto ad affreschi e quadri a olio, per esempio. Ed è destinata all’immediata distruzione o quasi.
Con essa si fa esperienza di qualcosa che è destinato ad avere un’esistenza di poche ore o pochi giorni al massimo. Come le performance di giocolieri, teatranti, clown di strada assistiamo a qualcosa che non resta fissato su di un supporto per tanto tempo. Anzi siamo di fronte a ciò che è destinato all’oblio già sul nascere. E per questo diventa una experience, un’emozione vissiuta sulla pelle, da cogliere nel qui e ora. E poi è anche realizzata con materiali ben più poveri e deteriorabili rispetto ad altri. Progettati apposta per non restare, per essere cancellati, persino, da una pioggerellina.
La performance art — nata anche per opporsi all’arte-museo, all’oggetto mercificabile — vive dell’incontro, del tempo e della relazione. Così anche il madonnaro, inginocchiato per ore a terra, crea un’opera destinata a dissolversi. Il suo corpo è parte del gesto, la sua presenza è parte dell’opera. La bellezza non è più nel possesso, ma nell’evento. Come in certe liturgie senza testimoni, la sacralità sta nell’essere lì, in quell’istante.
Negli anni il nostro madonnaro salentino aveva imparato che anche il suo corpo chino, in continuo lavoro e affinamento di un qualche dettaglio era parte della creazione artistica. Perciò si prendeva i suoi tempi che centellinava per tutta la durata della festa religiosa.
III. Esercizio di riproduzione
A volte chi si avvicina all’arte storce il naso quando trova qualche riproduzione dei grandi maestri come Tiziano, Leonardo, Michelangelo e altri. Come se l’arte fosse tale solo in virtù della creazione originale. Se Caravaggio, ad esempio componeva i suoi quadri mettendo davanti a sé dei modelli perché dovrebbe considerarsi artista chi riproduce, ad esempio, la Vocazione di Matteo? Copiare, insomma, viene visto come qualcosa che vale poco.
Ci sono due impostazioni di fondo in tale visione. Prima di tutto l’idea romantica, ottocentesca, dell’artista che da solo è una sorta di genio creativo che tirerebbe fuori dal nulla, o quasi, le sue opere. E dall’altra l’idea scolastica che copiare è addirittura sbagliato. Le botteghe d’arte per secoli sono state piene di opere sia dei maestri sia degli allievi che riproducono capolavori altrui. Al di là del fatto se io aggiungo o modifico qualcosa che ho riprodotto, come avviene ad esempio con la Pop Art, l’imitazione è stata tenuta in ben altra considerazione, come sapevano ad esempio gli umanisti. Anche se non sempre, l’arte è anche maestria e la capacità di riprodurre in tutti i dettagli un grande dipinto e in poco tempo è una contrainte, un vincolo formale o strutturale, di grande efficacia. E l’arte per definizione si muove tra regole, necessità, ostacoli di ogni tipo. A volte più ce ne sono e più il risultato è straordinario e sorprendente.
Nell’epoca della riproducibilità tecnica delle opere, di cui parlava Walter Benjamin, ciò che conta non è l’aura dell’originale, ma la capacità di ricreare un’emozione collettiva. E ogni riproduzione, ogni gesto di copia, è anche un atto di presenza e una dichiarazione d’amore verso chi ci ha preceduto.
Mio padre, sia da madonnaro sia come aerografista, ha più volte riprodotto Caravaggio. Non era solo un omaggio a un grande maestro, ma una sintonia profonda con quella pittura dove il sacro non teme la carne, la miseria, le pieghe del dolore. In fondo, l’arte madonnara — come l’estetica barocca — non fugge la realtà: la attraversa. Là dove il volto della Vergine si riflette sull’asfalto o su una lastra di metallo verniciata, riaffiora la stessa tensione caravaggesca tra lo spirituale e il corporeo, tra la luce e l’abisso. È un’arte che non idealizza, ma incarna: e proprio per questo, forse, continua a commuovere.
IV. Prospettiva dal basso
Con i madonnari le immagini che di solito vediamo nelle volte di chiese e basiliche e sulle loro grandi vetrate le ritroviamo non più in alto ma in basso, per terra, laddove passano i nostri piedi che secondo una certa geografia sacra avrebbero meno importanza di ciò che sta in alto, “in cielo”, lavanda dei piedi permettendo. Perciò esse sarebbero da disprezzare anche perché le nostre strade sono il luogo dove si accumulano tante sporcizie: macchie d’olio, strati di gomma dei pneumatici, polvere, ecc.
Le mani dei madonnari che sfumano e distribuiscono in modo uniforma la polvere del gesso facendola ben aderire alla superficie toccano ogni sorta di schifezza. Non solo. Le loro mani negli anni vengono levigate dallo sfregamento. Così tanto che a volte la pelle si assottiglia e spesso ci sono screpolature e piccole ferite. Mai dimenticherò le mani di mio padre nelle quali quasi non si vedevano più le impronte digitali per quanto si era assottigliato lo strato dell’epidermide.
Siamo ben lontani, insomma, dal Cristo Pantocratore di San Marco a Venezia o di Santa Sofia a Istanbul. In questi due casi l’istanza ierocratica è predominante mentre con i madonnari abbiamo una prospettiva secolare, laica e democratica. A ciò si aggiunge anche un rimescolamento con il profano, un po’ come avvenne quando Caravaggio utilizzò il cadavere di una prostituta âgé annegata nel Tevere per la Morte della Vergine.
V. Veicolazione di effigi
Quando Leonardo si recava a Francavilla Fontana, a Novoli, a Scorrano, a san Vito dei Normanni, a Pezze di Greco, giusto per citare alcune delle tantissime cittadine da lui frequentate, nelle prime ore del mattino o del pomeriggio, come prima tappa andava nella chiesa dove si trovava il santo che si stava festeggiando per prenderne l’immagine che avrebbe riprodotto. Con ciò stava facendo un’opera non tanto di divulgazione di determinate effigi ma una vera e propria veicolazione.
Quest’ultima è più immediata, più “primitiva” se si vuole, più diretta alle facoltà che noi tutti abbiamo e grazie alle quali ci ritroviamo in quel che Jung chiamava inconscio collettivo e che altri chiamano Registri Akashici. Tutto ciò ci riporta, insomma, agli archetipi della nostra cultura come, ad esempio, il Grande Vecchio, il Bambino, il Guerriero ella Luce e così via. Era un traghettatore di simboli, un custode di visioni che trascendevano l’evento locale per radicarsi in qualcosa di molto più antico e condiviso.
VI. Delimitazione del sacro
Ho visto madonnari, negli anni in cui da ragazzo seguivo mio padre, che ben prima di iniziare a disegnare delimitavano lo spazio in cui avrebbero realizzato la loro opera con dei lumini, dei delimitatori e persino con delle cordicelle. Ciò non corrisponde solo ad un’esigenza pratica come potrebbe essere quella, ad esempio, di un cantiere. C’è qualcosa di più profondo. Leonardo quando aveva terminato restava ben vigile davanti al suo dipinto per tutto il tempo durante il quale c’era il via vai delle persone. Ed era intransigente e severo con coloro che, non accorgendosi di ciò che stava sotto i loro piedi, finivano per calpestarlo.
Era solo salvaguardia del suo lavoro? Oppure rispetto alla figura riprodotta? Sono convinto che ci sia dell’altro. E l’ho capito quando molti anni dopo ho partecipato al rito della capanna sudatoria del mio amico sciamano Artiglio Ueman. L’area attorno alla capanna è sacra come lo è anche quella attorno all’altare di una chiesa. Solo che in quest’ultimo caso siamo in un edificio di una certa dimensione e con certi codici. Lo spazio del rito sciamanico in campagna o quello urbano di un madonnaro, essendo molto più piccolo e inserito nel quotidiano, rischia con troppa facilità di essere invaso dai distratti in modo improprio.
Ogni volta che un madonnaro traccia il perimetro della sua opera con corde o gessetti, compie un gesto che non è solo pratico, ma simbolico. Quello spazio, da anonimo frammento urbano, si trasforma in ciò che Bachelard chiamerebbe un nido simbolico: un rifugio momentaneo della bellezza, della concentrazione, della presenza. È una soglia, un confine delicato tra il profano e il sacro, tra il rumore del mondo e il silenzio interiore. Lì, sulla strada, tra le rughe del catrame, prende forma una piccola camera della meraviglia, fatta non di mura ma di attenzione e immaginazione.
VII. Manifestazione dello stupore
Ai bambini piace il colore del manto della madonna diceva di tanto in tanto Leonardo. Aveva un naturale e spontaneo rapporto con i bambini, in special modo dopo la morte di mio fratello, a venti anni, nel 1997. Ma a parte questa sua propensione, i bambini recepiscono tutto ciò che causa il loro stupore molto più degli adulti. Questi ultimi se ne vergognano un po’, lo ritengono inappropriato soprattutto se presi da determinati ruoli sociali. Gli artisti di strada, ai quali anche io mi onoro di appartenere per le volte che sono andato tra la gente con il teatro, sono lì a ricordarci invece questa dimensione che fa parte della meraviglia e persino del numinoso, dello spirituale. Lasciate che i bambini vengano a me diceva Gesù perché a loro appartiene il Regno dei Cieli.
Italo Calvino, nella sua lezione sulla visibilità, ci esorta a difendere le immagini interiori, quelle che ci permettono di leggere la realtà con occhi incantati. E quale immagine più potente di un volto sacro tra la polvere?
VIII. Committenza popolare
La monetina che le persone offrono al madonnaro rendono queste ultime committenti dell’opera a buon diritto, anche se in modo involontario. E per questo forse si tratta della più alta e libera forma di committenza. L’artista in questo caso può fare tutte le scelte che vuole e gli vengono riconosciute in modo altrettanto spontaneo e libero. Si tratta di un incontro tra il pubblico e l’artista tra le più nobili che esistano. In tutto questo c’è una reciproca comprensione e accettazione in cui c’è un grande scambio di valore. E va oltre l’offerta economica, seppur piccola.
In tanti si soffermavano a conversare con mio padre ogni volta che tornava in un determinato paese. C’erano alcuni che addirittura restavano a guardare ogni suo gesto sin dai primi momenti in cui iniziava a delineare la figura con il primo gesso fino a quando la terminava e si riposava. Aveva, insomma, i suoi fan, alcuni dei quali ci tenevano ad una conoscenza più approfondita.
IX. Stile di vita
Stare per strada e spostarsi di paese in paese o di città in città è tutt’altro che facile. È evidente che c’è una particolare vocazione nel farlo, una predisposizione che ti fa andare oltre ogni ostacolo. Che la vita di un artista di strada non sia rose e fiori mi sembra evidente. E al fondo c’è una ragione: il loro stile di vita spaventa, è persino una minaccia allo status quo. C’è una fetta di popolazione, della nostra società che non può accettarne persino l’esistenza.
Diciamola tutta: al pari di prostitute, transgender, barboni e vagabondi gli artisti di strada minano certe sovrastrutture il cui vero fondamento, però, è la paura del diverso. Per questo tutte queste figure insieme agli extracomunitari sono relegate in non-luoghi come quelli nei pressi delle stazioni ferroviarie. Non è un caso se mio padre ha mosso gli ultimi suoi passi su un marciapiede vicino proprio ad una stazione ferroviaria dove è stato aggredito.
X. Monetizzazione
Una delle più grandi difficoltà degli artisti è riuscire a monetizzare i propri talenti. Alcuni ci riescono ad alti livelli facendosi riconoscere lauti compensi. Altri considerano l’arte come un hobby e intanto magari sono dipendenti e ricevono uno stipendio. Altri ancora cercano e trovano forme intelligenti di monetizzazione. Quella dei madonnari è una delle più efficaci e riuscite. Mio padre per diversi anni ha portato avanti la sua famiglia in questo modo. Perso il lavoro come verniciatore per le navi a Taranto presso i cantieri Tosi del gruppo Festinante, non ebbe alcun dubbio su ciò che avrebbe fatto. Scelse la festa di campagna della Madonna di Gallana il 15 agosto del 1985 e da allora intraprese una carriera artistica che lo portò anche all’aerografia, ma di questa ho già raccontato in altri articoli e ci tornerò su in prossime occasioni.
Condividiamo la memoria
In fondo, l’arte madonnara ci insegna ciò che la leggerezza, la rapidità e la molteplicità — come avrebbe detto Italo Calvino — cercano di salvare in un mondo che tende a perdersi nel peso e nella confusione. È una lezione di fedeltà alla fragilità: quella di chi disegna su una superficie destinata a cancellarsi, sapendo che proprio in questa precarietà vive la bellezza più autentica. Se anche un solo passante si fermerà, anche solo per un istante, a contemplare ciò che sta svanendo sotto i propri occhi, allora quell’arte avrà compiuto il suo miracolo silenzioso.
Se ti è mai capitato di incontrare, nel ritmo distratto della vita, un gesto effimero che ti ha lasciato senza parole, raccontamelo nei commenti: ogni memoria condivisa è un mattone in più per costruire un piccolo tempio dell’attenzione e della meraviglia.
E se il 3 o 4 maggio sarai a Oria, durante il Raduno di Primavera dei Madonnari, cercami tra la polvere e le tracce di gesso: sarà un piacere chiacchierare insieme, come si fa tra chi riconosce, nelle cose più umili, la forza segreta dell’arte.