L’11 settembre e la nuova guerra fredda

Da giorni su riviste, quotidiani, programmi tv si parla dell’11 settembre e più che mai quest’anno per due motivi: siamo al ventennale ed è terminata la guerra iniziata dagli USA contro i Talebani in Afghanistan in un modo inaspettato e che ha lasciato perplessi, se non sotto shock, tutti. Mentre scrivo un po’ tutto il mondo dell’informazione si occupa con firme più o meno autorevoli, testimonianze e quant’altro sia dell’attentato di quel giorno sia del conflitto che ne conseguì. Quella data può essere consegnata alla storia perché segnò una svolta come era accaduto con il crollo del muro di Berlino il 9 Novembre 1989.

Sino ad allora era in corso la Guerra Fredda iniziata nel 1947 e che vide in contrapposizione le sue superpotenze di allora: USA e URSS. Venuto meno il pericolo sovietico e di un possibile apocalittico scenario nucleare si attraversò un decennio, anno più anno meno, in cui c’era una sola potenza vincitrice e una sorta di incertezza di fronte ad uno scenario in cui ridefinire gli equilibri geopolitici. Questi ultimi videro l’irrompere sulla scena con i fatti dell’11 settembre del terrorismo della creatura di Bin Laden prima, Al Qaeda, e dell’Isis dopo. Ora, questa fase si è ufficialmente chiusa con l’ultimo discorso di Joe Biden che ha dichiarato un successo l’evacuazione. E ha anche aggiunto che ora il suo paese è chiamato a misurarsi con la Cina e con la Russia di Putin.

Si viene così a delineare dal secondo dopoguerra ad oggi una tripartizione con:

  1. La Guerra Fredda dal 1947 al 1989;
  2. L’epoca del terrorismo islamista dal 2001 al 2021, almeno sul piano ufficiale anche se già alcuni attentati minori erano già avvenuti prima e anche se la minaccia di nuovi attentati non è ancora terminata;
  3. Il confronto tra la superpotenza occidentale americana e quelle orientali di Cina e Russia che, per altri versi, era già in corso da almeno una diecina di anni o più ma che ora riceve una veste di ufficialità.

Non è un caso se l’unica ambasciata aperta a Kabul è quella cinese. L’affaire dell’Afghanistan ora è nelle mani di Xi Jinping che prima ha criticato la gestione USA e poi ha telefonato al presidente Biden. Il suo interesse, per la verità, è di estendere la sua influenza su Asia, Europa ed Africa, costringendo quindi gli storici rivali capitalisti americani a restare isolati nell’Oceano Atlantico. Uno scenario che non dispiace alla Russia per tutti i vantaggi che ne può ottenere. I cinesi, insomma, non solo vogliono liberarsi da ogni ingerenza occidentale sulla questione dei diritti umani e sui sospetti della fuga dal laboratorio del virus che causa la Covid ma vogliono dominare, di fatto, la politica e l’economia di tre quarti, o quasi, del mondo. E per fare questo stanno cercando di contrastare le multinazionali che sono nate sul loro suolo come Alibaba e altre perché si rendono conto che i centri di potere si sono spostati, come è avvenuto negli Stati Uniti con Google, Facebook, Apple, Amazon, ecc.

Gli americani resteranno a guardare? Non credo. In apparenza si parla di cooperazione ma di fatto c’è una sfida economica, geopolitica e culturale in atto. Rischiamo un mondo di nuovo bipartito nei prossimi decenni. In tutto questo l’attentato alle Torri Gemelle, al Pentagono e alla Casa Bianca di venti anni fa s’inserisce come il segnale della stanchezza, potremmo dire, o della debolezza degli USA ritenuti fino ad allora inattaccabili sul loro suolo. Chi poteva immaginare, se non la mente di Khalid Shaykh Muhammad, l’architetto di molti attentati ai danni degli USA, che si poteva attaccare il cuore della difesa del paese militarmente più potente al mondo? Il messaggio fu questo, al di là dei proclami islamisti: possiamo mettervi sotto-scacco.

L’unica realtà politica che potrebbe controbilanciare questa tendenza e, in fin dei conti, dare più sicurezza al mondo intero è la Comunità Europea finora organismo politico inetto, soprattutto in politica estera. Se gli stati membri riuscissero ad andare oltre gli interessi nazionalistici da un lato sarebbero un contrafforte occidentale, una sorta di linea Maginot all’espansionismo cinese e dall’altra darebbero maggiori equilibri ad una situazione che potrebbe conoscere pericolosi squilibri da qui a breve. Costituirebbero, insomma, quella terza via che è stata cercata per decenni mitigando le asprezze del capitalismo senza per questo sopprimere la proprietà privata.

Abbiamo nche bisogno di una cultura spirituale forte, che pur evitando lo scontro di civiltà, sappia parlare in modo giusto, equo ai cuori e alle menti di tanti, in quell’oriente che pure è patria di Confucianesimo, Taoismo, Buddhismo, Induismo, Sufismo: tutte filosofie dalla forte componente spirituale. Avremmo tanto bisogno di Francesco d’Assisi, mi viene da dire. Il Cristianesimo tout court, è insufficiente, nonostante gli sforzi di Giovanni Paolo II prima e di papa Francesco dopo. Così come abbiamo bisogno di comprendere a fondo le dinamiche interne ai tanti paesi in cui vige la Teocrazia come l’Iran, ad esempio. Se riusciamo ad evitare la contrapposizioni frontali, il muro contro muro evitiamo di alimentare quell’odio per gli stranieri che vige in quei paesi. Del resto chi ama gli invasori? Quindi da un lato va bene l’evitare il ricorso alle armi e il ritiro dall’Afghanistan andava fatto, anche se in modo più giudizioso e non con una ritirata improvvisa e disordinata, come è avvenuto.

L’augurio è che tutta la comunità internazionale agisca se non all’unisono almeno evitando conflitti e mire di supremazia. Anche perché abbiamo una minaccia che richiede un grande sforzo comune e che riguarda il cambiamento climatico e la questione ambientale in generale i cui squilibri sono forse all’origine della pandemia in corso. Inoltre si paventa la possibilità che altre pandemie in futuro si presentino in modo piuttosto frequente. Il tempismo nelle risposte necessarie può fare la differenza.

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