I cinque migliori libri per attori di teatro

Foto di cottonbro da Pexels

Perché un attore, sia di teatro sia di cinema, dovrebbe dedicare tempo a studiare se stesso oltre il personaggio? La risposta si trova in una serie di opere che hanno definito l’arte della recitazione. Questi testi non sono solo manuali tecnici, ma veri e propri viaggi nell’anima dell’attore, che svelano come il processo di immedesimazione sia molto più di un semplice atto di memoria emotiva. Esploriamo come questi libri trasformano la recitazione da mera esecuzione a un’arte che respira vita

Il lavoro dell’attore su se stesso

Il primo libro che a mio avviso non deve mancare nel letture di un attore sia di teatro sia di cinema è Il lavoro dell’attore su se stesso di Konstantin Stanislavskij che è stato attore, regista e insegnante russo. A lui si deve un metodo omonimo di recitazione che si fonda sulla ricerca psicologica e sulle affinità fra il personaggio e l’attore. Vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento è considerato il pedagogo della recitazione per eccellenza.

La memoria emotiva

Perché il lavoro su se stessi? Gli attori dilettanti o il  senso comune parlano di immedesimazione: ti ripetono in continuazione che l’attore deve immedesimarsi. In realtà le cose stanno in modo diverso. Gli attori professionisti infatti attingono alla reviviscenza, alla memoria emotiva, alla ricostruzione della vita interiore prima di sé stessi e poi del personaggio. Nel suo libro, che è una sorta di diario-romanzo di un allievo di corsi di recitazione, grande importanza si dà all’agire sulla base del se: “e se…” come nei giochi dei bambini e sulle circostanze date e c’è una relazione fra questi due elementi perché il “se” scatena tutta una serie di meccanismi che le circostanze date poi completano. È importante questo libro anche perché si concentra anche sul ruolo dell’immaginazione e quindi dell’uso costante delle immagini e della memoria emotiva che poi è diventata centrale nella negli studi di Lee Strasberg negli Stati Uniti.

Il lavoro sul personaggio

Sempre di Stanislavskij è bene leggere Il lavoro dell’attore sul personaggio che parte dalle prime impressioni che l’attore ricava dalla lettura del copione. L’attore si accosta al suo personaggio come un innamorato all’inizio. Poi c’è anche l’analisi che, a differenza di un critico o di uno studioso, non deve puntare al pensiero ma al sentimento del personaggio perché poi possano emergere tutte le affinità con esso. E questo lavoro sul personaggio Stanislavskij lo divide in tre periodi:

  1. il periodo della conoscenza;
  2. il periodo della reviviscenza;
  3. Il periodo della personificazione che, come è giusto che sia, arriva per ultimo.

La grammatica dell’attore

Il terzo libro che secondo me è tra i migliori che siano mai stati scritti per attori è La grammatica dell’attore di Jurij Alschitz, regista e teorico teatrale russo nato nel 1947 e noto per il suo metodo che sì suole indicare come “la verticale del ruolo”. Questo libro si incentra sul training dell’attore, cioè sull’allenamento il più possibile quotidiano che un attore deve sviluppare, anche quando è lontano dal teatro e dalle scene. Introduce con degli esercizi molto efficaci, tra l’altro, il principio della distensione molto importante per gli attori. Io ho trovato un grande giovamento in esercizi come, per esempio, quello sul quadro sonoro. Insomma questo libro insegna a trovare la giusta energia e a trasmetterla. In definitiva il training dice Jurij Alschitz è il trasferimento dal territorio della vita al territorio della ritualità, della magia, dell’arte.      

Il manuale di Dario Fo

Un altro straordinario saggio è il Manuale Minimo dell’Attore di Dario Fo: un grande compendio dell’esperienza teatrale del bellissimo sodalizio tra Dario Fo e Franca Rame, eccellente attrice di teatro che ha trasmesso a Dario Fo tutta una serie di conoscenze di materiali. Franca era figlia di una coppia di attori di una compagnia di giro. Io ho conosciuto lei e Dario in un seminario nel 2003 e quindi ho potuto stare con loro e vedere da vicino il modo di lavorare che avevano e comunque ho divorato tutti i loro spettacoli teatrali, i loro testi e tutti i loro video e ho frequentato il loro archivio on-line per tanto tempo. Il Manuale Minimo dell’Attore è un excursus nel mondo della commedia dell’arte, delle maschere, del teatro antico con particolare riferimento ai giullari. Dario Fo ci ha anche vinto un Nobel proprio proprio per  questo particolare aspetto.

Impro

Il quinto ed ultimo libro che sconvolge (e fra poco spiegherò perché) il lavoro dell’attore è Impro di Keith Johnston che è un regista e insegnante inglese. Lo si può considerare uno dei padri dell’ improvvisazione teatrale di scuola canadese che è diversa da quella italiana che è più a braccio, più legata al mondo dei giullari di cui abbiamo parlato prima. Quella canadese ha delle modalità diverse legate per esempio all’ascolto tra gli attori e si è poi espressa attraverso delle competizioni sportive e teatrali. Keith Johnston ha creato il format di Theatresports che è una vera e propria competizione a squadre. Nello stesso periodo  sempre in Canada veniva fondato anche il Match d’Improvvisazione Teatrale da Robert Gravel e Yvon Leduc che io ho anche frequentato per un po’ di anni e in cui il teatro viene inserito nella cornice dell’Hockey su ghiaccio, sport nazionale canadese. 

La spontaneità

Che cosa mi ha insegnato questo libro? Una cosa che altrove non ero riuscito mai a capire, che pensavo fosse parte della nostra eredità culturale di italiani, ma mi sono reso conto che anche altrove hanno portato avanti delle lezioni fondamentali: che cos’è la spontaneità. Johnston dice che la spontaneità ha tre caratteristiche:

  1. è psicotica: siamo tutti dei pazzi, c’è poco da fare;
  2. è oscena: pensiamo tutti a a cose inenarrabili, certe volte;
  3. e, cosa ancora più sorprendente, non è originale, è questo è un bene.

Il teatro del sì

Devo a Johnston il ribaltamento di un paradigma teatrale nostrano, ma anche letterario, per il quale si crede che il sale dell’attenzione sia il no, il conflitto. Chi pratica improvvisazione teatrale si rende conto che c’è un’altra possibilità altrettanto interessante se non ancora di più che è la drammaturgia del sì e oltre, del sì è ancora, che potremmo chiamare il Teatro del Sì. Io avevo anche dato vita ad un gruppo di questo tipo per un periodo collaborando con un attore clown canadese della scuola di Keith Johnston che è Ian Algie.

La tua esperienza

La recitazione è un viaggio senza fine nell’universo dell’espressione umana. Questi libri sono bussola e mappa per ogni attore, sia sul palco sia dietro la macchina da presa. Ti invito a condividere la tua esperienza: quale di questi testi ha influenzato maggiormente il tuo percorso artistico? O forse ne conosci uno nuovo che merita di essere scoperto? Lascia un commento e condividi questo articolo per ispirare altri appassionati di teatro e cinema, proprio come te. 

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