Gandhi, la verità e il lavoro

Oggi, 2 ottobre 2021, si celebra l’anniversario della grande anima dell’India, il padre della disobbedienza civile: Mohāndās Karamchand Gāndhī. Esso coincide con la Giornata internazionale della nonviolenza voluta dalle Nazioni Unite. Un uomo dal grande fascino per me, al quale penso spesso sin da quando, da adolescente lessi sua autobiografia La mia vita per la libertà che mi fece entrare nel vivo delle scelte, dei dubbi, delle illuminazioni che lo portarono ad ottenere l’indipendenza per il suo paese dall’Impero Britannico.

Raggiunse vette di spiritualità davvero ispiranti. Il mio stile di vita è distante dal suo e le mie convinzioni su Dio e l’universo diventano sempre più differenti. Per esempio non ne condivido l’ascetismo, soprattutto sessuale e anzi, sono convinto, che il sesso sia, invece, una forma di elevazione. Però se c’è una cosa sulla quale continuo a guardare al suo esempio è la sua ricerca della verità. Non a caso in Italia ha avuto un certo seguito in Marco Pannella e nei Radicali Italiani. Peccato, però, che per il resto lo abbiamo dimenticato e ce ne infischiamo altamente. Vale la pena, credo, ricordarlo con tre dei suoi aforismi e pensieri.

Non c’è desiderio di parlare, quando si vive la verità. La verità è più economica delle parole. Non c’è, dunque, evangelismo più vero o diverso della vita.

E da questo punto di vista è un modello per tutto il mondo di coerenza, una testimonianza incarnata in tanti suoi atti quotidiani.

La sofferenza ha limiti ben definiti. Soffrire può essere tanto saggio che sconsiderato e quando si raggiunga il limite, prolungarlo sarebbe non solo sconsiderato, ma il massimo della follia.

Quanta distanza dal cattolicesimo che considera la sofferenza una virtù. Io in questo sono ancora più radicale: la sofferenza non solo non è necessaria ma è un ostacolo nel raggiungere Dio.

Una nazione può fare a meno dei propri milionari e dei propri capitalisti, ma mai del lavoro.

Il lavoro di cui Gandhi era propugnatore era quello che portò l’India all’indipendenza attraverso le produzioni nazionali, per liberarsi dal giogo britannico e di sicuro i capitalisti a cui fa riferimento erano quelli inglesi. Ma preso di per sé questo aforisma a me fa pensare al suo esatto opposto: è dal lavoro che occorre liberarsi oggi, specie da quello brutale, di sfruttamento e nel quale ci si annulla. Mentre va incoraggiata l’iniziativa di chi impara a crearsi rendite e capitali, ma torneremo su questo discorso.

A te a cosa fa pensare Gandhi?

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